Il caso delle comunità recintate (‘gated communities’) offre un esempio indicativo di come il processo di aggregazione di tante proprietà private porti ad un vero e proprio paradosso della cittadinanza.
Una definizione di comunità recintata può essere sintetizzata nei termini seguenti: si tratta di aree residenziali con una restrizione all’accesso nelle quali normalmente gli spazi pubblici sono privatizzati; si tratta di aree costruite in funzione della sicurezza, con precisi confini, generalmente muri o cancellate, e punti di entrata controllati, tutto ciò per prevenire qualsiasi penetrazione da parte dei non residenti.
Il processo di progressiva privatizzazione degli spazi delle aree residenziali viene descritto come la naturale evoluzione del modello di vita suburbano e della città diffusa americana: suburbia.
Già dalle costruzione delle prime città nuove negli Stati Uniti, da GreenBelt alle prime Levittowns, fu subito chiaro come il processo di suburbanizzazione fosse inteso come ricerca di qualità edilizie e ambientali superiori a quelle della città, come ricerca di un senso di esclusività dello spazio urbano e di privacy.
Anche le tecniche urbanistiche di costruzione di questi insediamenti a bassa densità, come il disegno della rete stradale e degli spazi aperti cercavano di garantire il carattere ‘privato’ dell’insediamento urbano. In definitiva, le qualità che oggi sono rintracciabili nelle oltre tre milioni di comunità fortezza degli Stati Uniti sono le stesse che attraevano i residenti dei primi suburbi: la qualità delle case, la sicurezza, la prossimità con attrezzature urbane, il carattere esclusivo dell’insediamento.
Il passaggio dal modello urbano di suburbia alla costruzione di città fortezza (gated community) è fatto risalire alla stessa evoluzione della città diffusa americana: se a partire dal secondo dopoguerra i suburbi erano prima di tutto aree residenziali monofunzionali e soprattutto omogenee socialmente (il territorio della classe media/alta americana, i colletti bianchi e i colletti blu), a partire dalla fine degli anni settanta si assiste ad una progressiva trasformazione di questo modello di insediamento verso una vera e propria città.
Con questo termine si suole appunto indicare lo specifico modello di città sorto negli Stati Uniti, caratterizzato da un’alta diffusione urbana e dal carattere fortemente segregato degli usi del suolo e dei gruppi sociali. Modello che negli ultimi venti anni appare essere in trasformazione a causa della progressiva invasione di nuove popolazioni e usi, perdendo molti dei caratteri originari. La semplice delocalizzazione nel territorio non sembrava cioè più garantire quei requisiti di sicurezza e di esclusività sociale e immobiliare.
Muri, cancelli, sistemi di sicurezza, non sono altro che la manifestazione di una diversa strategia di controllo dello spazio esterno alla propria abitazione.
Se la monofunzionalità sociale e funzionale del suburbio già garantiva il controllo sociale degli insediamenti, è ora necessaria una super-proprietà residenziale come aggregazione di tante proprietà private all’interno di un’area fisicamente separata dal resto della città.
L’elemento più significativo di queste comunità, quello dal quale trae origine il processo di auto-segregazione spaziale e sociale, è infatti la gestione associata della proprietà degli spazi comuni oltre a quelli dell’abitazione. Le associazioni di proprietari (‘CIDS’, Common Interest Development) rappresentano, di fatto, una forma di governo privato: gestiscono spazi e servizi comuni, come le strade, i marciapiedi, i giardini e altre attrezzature (piscine, palestre ecc.), inclusi i sistemi di sicurezza (cancellate, sistemi tecnologici), al pari di un grande condominio.
È interessante sottolineare come il controllo dell’esclusione, oltre che per la finalità della sicurezza e in difesa del valore della proprietà privata dell’abitazione, è esercitato come forma di costruzione di legami sociali tra persone che condividono interessi, valori, spazi comuni; in questo senso si può far riferimento all’idea di comunità o sub-società, proprio per indicare la ricerca di un senso di comunità, oltre che alla mera difesa della proprietà privata.
Così è stato possibile identificare diverse tipologie di comunità recintate sul territorio degli Stati Uniti, sulla base delle attività prevalenti all’interno di esse e sulle finalità principali con cui il controllo dell’esclusione è esercitato.
Queste ultime considerazioni – l’erogazione di servizi e utilità comuni da parte delle associazioni dei proprietari, la ricerca di un senso di comunità oltre alla difesa del singolo valore della proprietà – costringono ad interrogarsi sul senso della cittadinanza, su cosa possa significare essere cittadini abitando una di queste comunità recintate.
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