Tradizionalmente la categoria urbanistica di spazio pubblico ha fatto riferimento principalmente allo spazio aperto di proprietà pubblica, e cioè la strada, la piazza, il parco, il giardino e la galleria commerciale.
Maurice Cerasi (1976), affrontando il problema dal punto di vista storico e di costruzione della città, definiva ‘spazio collettivo’ «il sistema unitario di spazi e di edifici inglobati nel territorio urbanizzato che hanno una incidenza sulla vita collettiva, che vedono un uso comune per larghi strati della popolazione e che costituiscono le sedi e i luoghi della loro esperienza collettiva».
Si tratta di una definizione che interpreta lo spazio collettivo come inserito in un tessuto urbano denso e compatto, secondo un’idea di città di carattere ottocentesco. La sua continuità spaziale e riconoscibilità appaiono i due attributi più importanti dello spazio collettivo e della sua progettazione.
Il suo discorso è interessante nella misura in cui cerca di uscire dalla tradizionale distinzione spazio pubblico/spazio privato di natura giuridica o esclusivamente architettonica e formale, per intercettare tutti quei possibili ambiti dove la vita collettiva ha luogo prevalentemente.
La dimensione collettiva dello spazio fa riferimento al concetto di proprietà comune, un bene o uno spazio dal quale nessun cittadino può essere escluso.
Il punto di vista della scienza politica ha sottolineato il carattere di diritto individuale della proprietà comune, come nel caso degli spazi pubblici della città: il diritto al loro utilizzo e fruizione è inteso come una proprietà di tutti intesi come individui, nel senso che ogni membro della società ha una eguale diritto al loro utilizzo.
Se da un punto di vista giuridico è possibile affermare che lo spazio pubblico, inteso come proprietà comune, è uno spazio di tutti, accessibile e fruibile da tutti, da un punto di vista pratico o empirico possiamo dire che anche lo spazio pubblico è sempre di qualcuno. Il concetto di territorialità afferma con forza il carattere conteso del territorio (rimando ad un altro post per la sua definizione).
Il concetto di privacy, di spazio personale, di territori del sé, spiegano come sia una esigenza naturale e sociale di ogni individuo appropriarsi dello spazio per finalità di controllo delle relazioni sociali.
La differenza tra spazio privato e spazio pubblico, prima ancora che dal punto di vista proprietario, va rintracciata nella possibilità di esercitare forme di territorialità più o meno conflittuali in situazioni di compresenza.
Da un punto di vista analitico è possibile quindi definire lo spazio pubblico come un campo conflittuale di territorialità o campo urbano.
L’idea di campo urbano è già stata introdotta nel dibattito geografico per cercare di descrivere ambiti territoriali, non strettamente riconducibili alla forma della città tradizionale, nei quali sia possibile osservare un’alta densità di transazioni e scambi di natura economica, sociali, culturali. In questo contesto l’idea di campo è utilizzata per fare riferimento ad almeno tre dimensioni: quella del conflitto (campo di battaglia); quella dello spazio fisico, del suolo (campo agricolo); quella della compresenza spazio-temporale dell’interazione sociale (campo di interazione).
L’idea di campo urbano rimanda ad una dimensione costitutiva delle relazioni sociali nello spazio fisico: quella della compresenza spazio-temporale.
La relazione sociale in una situazione di compresenza spazio-temporale sollecita ad una qualche forma di mediazione, trattamento, gestione degli inevitabili processi conflittuali tra il sé e l’Altro (ben diversamente dalle relazioni "sociali"che accadono in internet, dove la via di uscita e' sempre alla portata di un click).
In altre parole lo spazio pubblico urbano pu' esercitare una funzione importante nel processo di crescita della personalità' nonché' dell'anima dei cittadini.
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